«La buona governance si riduce spesso a una combinazione di statistica e logica: analizzare i dati e mettere in pratica le analisi.» –Khanna, Parag. La rinascita delle città-Stato: In che direzione dovrebbe andare l’Europa?. Italia: Fazi Editore, 2017.

Acquistai questo libro quando uscì, sentendone parlare per radio. A quanto sembra consultando Google Libri è rimasto a poltrire sullo scaffale abbastanza da vedersi cambiare il sottotitolo da “Come governare il mondo al tempo della devolution” a “In che direzione dovrebbe andare l’Europa?”.

Mai sottovalutare l’abilità degli editori di cambiare pelle al medesimo prodotto al mutare delle condizioni ambientali, specie se l’editore ha già avuto l’idea di cambiare il titolo originale che tradotto letteralmente sarebbe stato La tecnocrazia in America. E dire che La democrazia in America di Tocqueville è citato nel primo paragrafo del prologo ma siamo in Italia paesi di classi più o meno dirigenti forgiate nel liceo classico ma sicuramente compranti quindi beccatevi la strizzatina d’occhio alla classicità.

Procediamo con disordine: il testo di Parag Khanna fornisce numerosi spunti di interesse ma letto oggi risulta affaticato dal vorticoso susseguirsi di eventi degli ultimi 5 anni. L’autore non poteva prevedere le ricadute della Brexit (anche se già ne accenna), il Covid, l’acuirsi di una nuova guerra fredda con la Cina, la fine di Trump, la guerra in Ucraina per cui ci sono alcuni retaggi piuttosto curiosi.

Fra questi mi hanno colpito gli accenni alla leadership collettiva in Cina rispetto a quella secondo l’autore accentratrice degli USA. Improvvido tempismo dato che la Costituzione cinese è stata aggiornata un anno dopo l’uscita del libro l'11 marzo 2018 rimuovendo i limiti di mandato per il presidente e il vice-presidente e scrivendo il suo nome nella costituzione a fianco a quello di Deng Xiaoping, padre della precedente revisione costituzionale.

Anche i commenti sulla superiorità del governo su modello inglese basato su una migliore selezione rispetto a quello statunitense suonano stonati dopo il susseguirsi dei governi e leader Tory a seguito della Brexit e i relativi pasticci.

Il libro non è malvagio e rende onore al titolo originale. Non ci viene detto come creare una città-stato nel 21mo secolo ma ci vengono indicati esempi e pratiche di organizzazione della cosa pubblica in Cina (vedi sopra), Singapore, Svizzera. Una delle idee chiave è che una presidenza collettiva sia più efficace di un uomo solo al comando.

Sulla carta il nostro governo, con ministri e presidente del Consiglio primus inter pares soddisferebbe già questo criterio, se non fosse che per arrivare a quelle posizioni i ministri dovrebbero fare nell’ipotesi di Khanna una gavetta ben più lunga di quella attualmente richiesta, passando per l’amministrazione di entità via via più grandi prima di approdare ai vertici. Gli esempi in tal senso vengono all’autore da Singapore:

«Oggi è la burocrazia di Singapore a piazzarsi al primo posto al mondo sia in termini di capacità che di autonomia amministrativa. Tutti i membri del gabinetto sono affiancati da alti funzionari dello Stato che conoscono i meccanismi dall’interno. La burocrazia singaporiana è come una scala a chiocciola: a ogni scalino impari a gestire competenze diverse […] [a]ll’opposto, quella americana funziona come un ascensore: uno può entrare al piano terra e arrivare subito in cima, senza imparare nulla di quel sapere che sta nel mezzo.» Khanna, Parag. La rinascita delle città-Stato, cit., p. 83

Parlando di cose italiane, un tema della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2022 è tornato ad essere il presidenzialismo proposto dal partito di destra al momento favorito. Bene il testo di Khanna critica il presidenzialismo, in particolare quello statunitense, preferendogli una presidenza collettiva di tipo elvetico o il modello di Singapore appena accennato.

Su questo il tempo è stato galantuomo con l’ipotesi di Khanna, basta guardare il livello di spaccatura della società americana cui assistiamo oggi nel dopo Trump. Khanna accusa anche il predecessore Obama per lo scarso coraggio specialmente nel secondo mandato in cui a suo avviso si circondò di yes-man invece di costruirsi un team di rivali come fece a suo dire nel primo mandato.

Alle nostre latitudini ricordo fra i primi Sartori a manifestare scarsa stima per il personaggio Obama già nel 2015, e ora la questione della biblioteca presidenziale a suo nome dà qualche idea del tipo di eredità che Obama si prepara a passare alla storia.

Khanna prende ad esempio figure polarizzanti di questo tipo per avvalorare la propria tesi dell’inefficiacia del presidenzialismo nel secolo XXI, criticando l’accentramento nelle mani del presidente di troppe competenze già nel 2017 e la scarsa competenza del gabinetto che può arrivare a comporre. Anche qui il senno di poi ci porta alla mancata nomina di un giudice della Corte Suprema da parte di Obama che ne aveva la possibilità, seguito dall’approfittarsene di Trump per insediare una maggioranza repubblicana alla Corte violando il galateo istituzionale. Una catena di eventi che ha portato a decretare la fine dell’aborto legale negli Stati Uniti con uno strappo sociale che ad oggi fatica ad essere ricucito e che potrebbe essere il primo di una serie.

Uno scenario di questo tipo potrebbe affacciarsi se abbandonassimo il sistema parlamentare per quello presidenziale? Una delle versioni più in voga del presidenzialismo in Italia è il semipresidenzialismo. Ne parlò proprio Sartori in commissione bicamerale qualche annetto fa:

Si dice che ho una visione rosea del sistema francese. C’è un aspetto importante, su cui mi voglio soffermare. La prima osservazione di Elia è che le imitazioni, tra le quali si può includere quella dello Sri Lanka e anche - ahimè - quella della Russia (lo dico a mio danno), sono state diverse. Ebbene, posso spiegare perché le imitazioni sono state malfatte o sono riuscite male. Ciò non depone veramente contro il modello francese ma depone contro certe varianti infelici apportate di volta in volta. Il sistema russo è terribile, perché lì veramente si elegge un presidente ultraimperiale che può fare tutto e il contrario di tutto. Quindi, è vero che le imitazioni non sono riuscite, è vero però che il prototipo ha funzionato bene. –Audizione del professore emerito dell’Università di Firenze e della Columbia University, Giovanni Sartori, 18 marzo 1997

Non sono un costituzionalista comparativista ma quella riforma in Russia mi sembra ben riassunta in queste parole.

L’altro paese citato da Sartori che ha adottato un sistema semipresidenziale malfatto è lo Sri Lanka che, al momento in cui scrivo, ha subito un tracollo a seguito di iniziative politiche ed economiche autodistruttive.

Dato che non siamo stati geniali nello sfornare col buco le leggi elettorali negli ultimi anni dovremmo forse essere cauti nel cambiare la forma di governo in senso presidenziale?

Tornerei al testo non avessi passato il tempo a prendere deviazioni. Non mi dilungo, accenno giusto l’idea di info-Stato che l’autore propone come sistema per raccolta di informazioni dal basso per orientare le politiche pubbliche, pratiche piuttosto diffuse in Asia nell’esperienza dell’autore. Un tema caro alla saggistica a cavallo del Duemila su cui magari ritornerò.

_Parlando della Democrazia in America di Alexis de Tocqueville, devo dire che alle letture disordinate cui l’ho sottoposto gli preferisco di gran lunga Viaggio negli Stati Uniti, un po’ quaderni un po’ diari in cui riporta conversazioni con personaggi di spicco dell’epoca e riflessioni sulla società americana. Grazie ad una lettura anche questa volta disordinata posso dire di essere stato colpito dalle scene dell’assalto al Congresso alla fine della presidenza Trump, ma di non averla riconosciuta come un fatto eccezionale nella storia dato che negli USA raccontati da Tocqueville compaiono scazzottate con moventi politici durante comizi, sbronze e bivacchi nei luoghi del potere ai margini delle elezioni. Per finire con i due candidati dei partiti avversari che prendevano lo stesso treno per andare al prossimo comizio.